Quasi dolce

I dolci letti e detti sui menù sono talmente elencati, sofisticati e verbosi, se non astrusi, per far sapere e far capire quello che mangi con descrizioni e percentuali di selezionati ingredienti. Il gusto, il piacere è che il palato non deve sapere, è lui stesso che si inventa il piacere. É vero si mangia con gli occhi e un dolce è spesso “dipinto” o può essere dipinto perché il pittore è anche uno chef che non richiede però stupore sugli ingredienti con cui è fatta l’opera. Se si capisce subito e si elencano i materiali del fabbricare, i materiali rimarranno tali e non diventeranno mai altro.

 

La pittura non è gastronomica, non è cucinata e la sua suadenza sta nella sostanza e non in una “quasi” gradevole dolcezza. Certo il quadro non è un dessert ghiacciato ma proprio per questo la sfida è dipingere un dessert che ti induca a pensare. Il quadro non deve essere spettacolo mentre il dessert è obbligato ad esserlo.

Ed in questo momento di grigiore, di inciviltà, se non di terrore che si richiede (non è certo un rimedio socio-culturale) almeno un po’ di… dolcezza. É proprio nel momento di assenza di prospettive credibili, di una società appiattita nell’omologazione, che si può (reazionariamente, si sarebbe detto un tempo) accettare una forma di gusto, di bellezza, di dolcezza.

 

Forse non sarà una nuova dialettica, forse non si produrranno (con l’estetismo piacente) idee e forti pensieri, ma una pausa “quasi dolce” è terapeutica. Qualcosa di delicato e gradevole; basta con l’amaro e il disgustoso. Si può cadere nella docile arrendevolezza della bontà, che in pittura è una minaccia perché rischia la suadenza.

 

 

Concetto Pozzati  – Febbraio 2011