Museo della memoria

È un luogo sacrale e museale; forse il più affascinante di Bologna anche perché concepito da un’artista formidabile che ha sempre indagato sul dopo (Boltanski) ascoltando il passato se non l’ustione del tempo. Anche le stanze laiche e commemorative nei cimiteri oggi sono installazioni fatte dagli artisti (vedi Favelli nella nostra Certosa).

 

Questo vuol dire che la morte, la scomparsa, il ricordo non sono semplici lapidi ma luoghi di giudizio oltre che di rimembranza.

 

Vuol dire che il luccichio dei brillanti incastonati in un teschio, venduto a cento milioni di dollari (vedi Hirst) sono solo apparenze indifferenziate ed economiche.

 

Ma la memoria è un corpo, un peso denso che ti rimanda agli interrogativi e non certo agli esclamativi di una civiltà globalizzata.

 

Il silenzio agghiacciante è un vuoto, un vuoto denso che ti impone un dialogo attraverso la memoria, il ricordo, quello che oggettualmente resta; quel vuoto parla perché l’arte ha una sua oralità, una sua voce anche nella propria intimità.

 

Leggere con gli occhi cose che appaiono solo nell’isolamento, nell’abbandono, nello spessore dell’esistenza.

 

Si attende un Godot che non verrà mai, ma un’artista deve credere nell’invisibile.

 

In questi casi non bisogna chiedere niente di spettacolare e di sensazionale ma solo pudore e silenzio anche se infetto da solitudine.

 

Esiste un privato ri-trovato contro un pubblico globalizzato, un privato che l’arte custodisce.

 

L’opera, l’allestimento, l’installazione producono un eco “pieno di vuoto”, una profondità intima e nascosta per potersi riparare e per tramandare la memoria che si riprodurrà sempre in ri-memoria pubblica e privata.

 

 

Concetto Pozzati 2007