A casa mia

È un invito a venire a trovarmi, per scoprire il mio nascosto….

La globalizzazione ha fatto scomparire il privato, tutte le forme (oltre che i generi) sembrano le stesse falsamente uguali.

 

Non chiedo niente di spettacolare, niente di pubblico, niente di sociologico, niente di sensazionale.

Guardo una mensola e scopro un oggetto, apro un armadio e noto una giacca che non porto, cerco le scarpe e ne “leggo” tante, diverse.

È un tornare indietro, sono tribale tra le mie cose che scompariranno prima o dopo. Vedo cose di ieri, ma con gli occhi di oggi. Un gillet, una camicia, cravatte non portate, un’anfora, un reperto archeologico, zoccoli, ciabatte ortopediche, bluse, camicioni, borse, caffettiere.

Ruoto su me stesso, è il terrore di essere solo dipingendo questi oggetti, capisco il mio non detto, capisco il mio pudore, capisco il loro silenzio intrecciato alla mia solitudine…

È solo guardarsi dentro spogliandosi sempre di più. Chiavi, serrature, manichini… ma questa giacca se la dipingi non è più tua… ti rubano il privato e allora ti aggrappi al mestiere, alla memoria, all’affetto.

Scrive Boatto nella prefazione del ciclo precedente “Ciao Roberta”, dedicato a mia moglie: Un uomo ha perduto la propria donna, la sua sposa… Nello smarrimento, l’uomo si sente dolorosamente pieno di vuoto.

Quell’uomo fa il pittore e non gli basta più spaesare, straniare la cosa, l’oggetto; non si salva più con l’ironia anche se elenca quasi ortogonalmente, alla Hogarth, borse di stoffa e cuoio, zoccoli di gomma verdi da ospedale, pennello da barba, vaso di caffè che deve ora, da solo, imparare ad adoperare per farsi almeno un caffè.

Tenta quadri simbolici dedicati a chi avrebbe dovuto ancora ricevere l’impossibile invito; tutto il ciclo s’intitola “A casa mia” con il numero 6 in evidenza, perché è il civico dell’abitazione del pittore.

Sono quadri tristi, densi di malinconia dove nemmeno il voluto privato si salva più perché è stato reso infetto dalla solitudine, dall’abbandono e da un esterno sempre più indifferenziato, dove nessuno più “arrossisce”, dove ognuno vieta all’altro qualcosa. E pensare che dicevamo che era “vietato vietare”… anche in pittura.

I quadri sono tra rappresentazione e presentazione dove i linguaggi estremi convergono e proprio per questo sono l’inizio di un clima di verità. Forse rischiano ancora la teatralizzazione ma vogliono invece essere un umile doloroso diario che ti fa ancora esistere per resistere.

Non è estraneo, almeno lo sguardo del pittore, agli “oggetti” che sono sull’orlo del precipizio perché è l’opera che ha gli occhi, ti guarda, ti turba. Questi oggetti sono insidie, sono rovine cariche di memoria che rimandano alla proprie rovine, cariche di malinconie.

Non è affatto riposante incontrare questi oggetti, enigmatici ri-mandano, ri-mandano ad una soglia rivolta all’indietro; una nostalgia semplice ma struggente anche perché solo ora capiamo e amiamo queste cose già tante volte viste ma mai possedute dal presente.

Ora una relazione è possibile pur con “rossore” e tremore per alliniamenti tragici, da “fucilazione”.

Questi oggetti devono essere disegnati-dipinti per essere riconosciuti ed esistere sempre nuovi “A casa mia”, anche dallo stesso pittore che, ora anche abbandonato, li vuole custodire ed identificare con il proprio dolore.

Questi semplici oggetti rimbombano, producono l’eco come un’ossessione ed è l’oggetto, ora, il “padrone” del pittore.

Esiste un’immensità intima per poterci riparare e allora si tenta una piatta virata… oggetti come gusci vuoti fingendo di (almeno) spolverarli.

Questo piano-pianura, pur ortogonale, potrebbe accogliere qualsiasi oggetto intimo perché già in passato amorevolmente toccato, ma desolato di non esserlo più. Il piano diventa un deserto dalla sabbia ferrosa.

Tutti gli oggetti sono “fuori”, sono in un’altra scena, nessuno è “dentro”. Nessuno sarà negato ma ognuno proporrà un proprio solitario diniego… sono oggetti castigati perché abbandonati.

Questi oggetti si propongono “lenti” e accelerare -direbbe Bauman- ha senso solo come preparazione al “rallentare”, che è il principale scopo; la qualità dell’accelerazione, in ultima analisi, verrà valutata in base al sollievo di un rallentamento…

Speriamo di andare lenti suturando ferite.

 

 

Concetto Pozzati

dicembre 2007